Terapia d'urto. Marco Felici su Fix On MagazineIn evidenza News Rubriche Sociale Terapia d'urto 

Paolo

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“Paolo, sbrigati, che sono a stomaco vuoto.”

“Ohi, Cerezo, anche io, che ti credi. Giusto uno yogurt per poter prendere i farmaci”.

È molto tempo che seguo Paolo, un “ragazzo” di 54 anni, con un leggerissimo ritardo, nella parola e nei movimenti. Il problema rilevante è l’epilessia, ma da parecchio non ha attacchi, grazie ai farmaci che prende. Non si separa mai dal suo cane, Billy, un meticcio di dieci anni, di taglia medio piccola che ha preso otto anni fa, in un canile.

Me lo ha chiarito fin dal nostro primo incontro: “Lui è Billy, dove vado io viene anche lui.” Perentorio. 

La cosa non mi dispiace, il cane ha dieci anni ma è un cucciolo, giocherellone e affettuoso. Riguardo il soprannome che mi ha affibbiato (Cerezo), i motivi ancora non mi sono chiari.  Saliamo in auto, Billy si accomoda dietro, ormai sale “in automatico”.

Accendo lo stereo: “High and Dry” dei Radiohead, a tutto volume.

“Allora, prima di andare a San Sisto, facciamo un salto al Penny, che devo prendere l’acqua” lo informo.

“Perfetto, così prendo il pane” mi risponde.

Lasciamo il cane in auto ed entriamo al supermercato. Io faccio presto, prendo due casse d’acqua e, dopo aver pagato, esco:” Paolo, fai in fretta, ti aspetto in macchina.”

Ok”. Lui ha una lievissima difficoltà motoria ed è sempre lento nel prendere qualcosa, ma è del tutto autonomo.

Poso l’acqua in auto e torno all’ingresso del supermercato, non si sa mai; infatti, c’è una certa agitazione alla cassa: Paolo sta urlando ad una signora di colore: “Questo pane è mio!” 

“No, si sbaglia, questo l’ho preso io.” Risponde la signora.

Mi avvicino, Paolo è imbestialito: “Ho detto che questo pane è mio!!” 

La signora di colore e la cassiera sono intimorite. Succede, a volte, che il ragazzo perda le staffe, e diventa una vera belva; a questo va aggiunto il fatto che è di stazza grossa: mette paura.

“Paolo che succede? Calmati.” Cerco di rabbonirlo e capire la situazione.

La cassiera aveva messo da parte il filone di pane di Paolo e fatto passare la signora: “No, guarda, è questo il tuo.”  Paolo non è convinto, la signora di colore mi guarda, attonita. 

Cerco di riportare la calma: “Paolo, questo qui è il tuo filone, non quello che ha in mano la signora.”

Lui si calma, la cassiera si scusa, la signora del pane mi guarda con aria interrogativa ed è ancora molto scossa; Paolo raramente ha questi scatti, ma quando succede fa davvero paura, una rabbia assoluta, una rabbia verso il mondo, che si porta dentro da sempre. Non perdona alla vita la sua sventura.

“Dai sali in macchina” lo esorto. Lui esce dal supermercato, io mi scuso con la signora che, ancora tremante: “Ma, uno così, non dovrebbe stare in un istituto?” 

Ecco, ci siamo, tutti si riempiono la bocca parlando di integrazione e inserimento, ma, al dunque, viene fuori, puntuale, il pregiudizio, il fastidio; vorrebbero vedere “il diverso” chiuso in un posto sicuro, dove non rechi disturbo alla comunità di “normali”.

La guardo fisso, fermo: “No, lui decisamente no. Arrivederci.”

Parcheggio la macchina, scendiamo ed entriamo nel bar.

Le note di “Come as you are”, dei Nirvana, aleggiano nel locale.

Ciao Paolo! Ohi Billyno, vieni che ti do un biscotto, dai”

Silvia, una delle bariste, ci saluta sorridente, mentre accarezza il cane: “Paolo, cosa vuoi, il solito panino col salame?”

“Si si, certo”

Tutt’altra atmosfera; veniamo qui da anni e le bariste si sono affezionate a Billy ed al suo padrone; non fanno assolutamente caso ai problemi di Paolo. Basta la “vicinanza”, l’abitudine, la confidenza e tutto fila liscio. Persona tra le persone.

 La normalità.

Marco Felici
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